Espressionismo
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L'espressionismo fu, come il futurismo, una manifestazione polivalente e pluridisciplinare (ideologica, poetica e figurativa) ed ebbe origine nel clima inquieto e aperto alla sperimentazione degli anni anteguerra, ma raggiunse il suo apice e la sua forma più tipica negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale. Sul piano ideologico-culturale il movimento fu una violenta e radicale reazione all'ottimismo positivistico borghese, e più particolarmente e immediatamente ai disastri e agli orrori della guerra.

A differenza di altre avanguardie, Clemente Reboral'espressionismo si caratterizza per una visione cupa, essenzialmente pessimistica del mondo. È definito come poetica della vita tramontata, violentata, della disperazione, della morte e dell'assurdo che ne hanno preso il posto; e contemporaneamente, la tensione verso la rigenerazione che trasfiguri il mondo sconvolto, l'umanità trasfigurata dalla guerra.
L'elemento che caratterizza il movimento espressionista è di ordine tematico: è definita da Gianfranco Contini "letteratura di urlo e distruzione", ma a ciò si affianca un'espressività deformante fortemente originale e violenta, equivalente formale dell'urlo. Dal punto di vista stilistico, si fece sentire anche l'influsso del futurismo, soprattutto come semplificazione e scarnificazione linguistica, nel senso di un radicale rifiuto della retorica e del linguaggio poetico ed espressivo della tradizione e di una radicale e violenta rivoluzione stilistica.

In Italia un dei massimi esponenti dell'espressionismo fu Clemente Rebora, che collaborò con "La Voce", rivista che fece nascere quel movimento espressionista italiano detto "vocianesimo". Egli fu affiancato nella collaborazione con la rivista da Giovanni Boine, Arturo Onofri e Piero Jahier. Questa agì spesso in direzione di un abbattimento dei confini tra poesia e prosa, e di un orientamento verso una concezione della letteratura moralmente impegnata e di carattere prevalentemente autobiografico, espressa con un linguaggio espressionistico, che opera sovente audaci violazioni dei normali istituti della lingua e a cui corrisponde un rapporto difficile col reale, un'esperienza interiore fatta di lacerazioni e pulsioni contraddittorie, una concezione pessimistica del mondo e magari un risentito moralismo, che in quel linguaggio trovano un adeguato corrispettivo formale.

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