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Clemente Rebora |
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Dall'intensa nuvolaglia giù - brunita la corazza, con guizzi di lucido giallo, con suono che scoppia e si scaglia - piomba il turbine e scorrazza sul vento proteso a cavallo campi e ville, e dà battaglia; ma quand'urta una città si scàrdina in ogni maglia, s'inombra come un'occhiaia, e guizzi e suono e vento tramuta in ansietà d'affollate faccende in tormento: e senza combattere ammazza.
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Il motivo dominante della poetica di Rebora è un insopportabile bisogno di purezza, elevazione, idealità, senso, tensione a Dio, costantemente osteggiato e sovente però frustrato da un grumo di debolezze, colpe e contraddizioni che incatenano l'individuo genericamente e l'io del poeta più precisamente. Non è chiara la distinzione tra interno ed esterno, perché gli oggetti assumono una valenza simbolica di non facile delimitazione. L'io del poeta può dirsi quello di un moralista che si sente invischiato in una realtà moralmente degradata, senza poter bene distinguere se il male, la colpa si annidino all'interno di sè o all'esterno. Uno dei soggetti privilegiati da Rebora è la città moderna, brulicante di vita, attività dal senso ambiguo, ma soprattutto di miserie e bassezze, percorsa da individui colpevoli e spregevoli, anime morte, ma capace di nascondere ansie e aneliti di rivolta e riscatto. La minaccia della degradazione incombe su tutto.
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